"Casa di foglie" di Mark Z. Danielewski
“Casa di foglie” di Mark Z. Danielewski

Quando la prima edizione di “Casa di foglie” iniziò a circolare negli Stati Uniti, affiorando a poco a poco su Internet, nessuno avrebbe potuto immaginare il seguito di appassionati che avrebbe raccolto. All’inizio tra i più giovani – musicisti, tatuatori, programmatori, ecologisti, drogati di adrenalina -, poi presso un pubblico sempre più ampio. Finché Stephen King, in una conversazione pubblicata sul «New York Times Magazine», non indicò “Casa di foglie” come il Moby Dick del genere horror. Un horror letterario che si tramuta in un attacco al concetto stesso di «narrazione». Qualcun altro l’ha definita una storia d’amore scritta da un semiologo, un mosaico narrativo in bilico tra la suspense e un onirico viaggio nel subconscio. O ancora: una bizzarra invenzione à la Pynchon, pervasa dall’ossessione linguistica di Nabokov e mutevole come un borgesiano labirinto dell’irrealtà. Impossibile inquadrare in una formula l’inquietante debutto di Mark Z. Danielewski, o anche solo provare a ricostruirne la trama, punteggiata di citazioni, digressioni erudite, immagini e appendici. La storia ruota intorno a un misterioso manoscritto rinvenuto in un baule dopo la morte del suo estensore, l’anziano Zampanò, e consiste nell’esplorazione di un film di culto girato nella casa stregata di Ash Tree Lane in cui viveva la famiglia del regista, Will Navidson, premio Pulitzer per la fotografia, che finirà per svelare un abisso senza fine, spalancato su una tenebra senziente e ferina, capace di inghiottire chiunque osi disturbarla.

“Casa di foglie” di Mark Z. Danielewski è un romanzo che fa parte della cosidetta letteratura ergodica ossia una letteratura che richiede uno sforzo in più al lettore per comprendere la storia, insomma se cerchi una lettura tranquilla e lineare “Casa di foglie” non fa al caso tuo.
Lo si potrebbe definire un libro-labirinto o una storia nella storia e una via di mezzo tra un horror e un thriller psicologico.

Il libro si apre con l’introduzione scritta dal nostro protagonista Johnny, che ci narra di come sia entrato in possesso di un baule trovato a casa di Zampanò, un anziano cieco, al cui interno ci sono appunti e note di un manoscritto che analizza fotogrammo per fotogrammo un docufilm girato da un certo Navidson: “La versione di Navidson” uscito agli inizi degli anni ’90 e che ha fatto molto scalpore in quanto mostra una casa “viva” in cui si formano stanza e corridoi nuovi. E qua iniziano i problemi.

Problemi perché Johnny ci dice subito che questo docufilm e la maggior parte della bibliografia usata da Zampanò non esiste e che addirittura i personaggi famosi (scrittori, registi, ecc) intervistati dal vecchio non hanno la più pallida idea di chi sia Navidson, di chi sia Zampanò e non hanno mai visto o sentito di questo docufilm. Ma non finisce qua.

Infatti da quando Johnny è entrato in possesso di questi scritti, inizia ad avere paura. Paura delle ombre e del buio in cui vede artigli pronti ad afferrarlo e a trascinarlo nell’oblio.

“Casa di foglie” è un romanzo che ti tiene incollatə alle pagine, è assurdo, pieno di codici nascosti, che difficilmente riuscirai a individuare tutti senza l’aiuto da casa (ovvero internet), ma soprattutto è un romanzo che ti spiega poco o nulla e sta a te, lettore, capirne il significato.

Io l’ho amato, ma capisco che è uno di quei romanzi (come “S.La nave di Teseo”) complessi e tosti che se non si è nel mood giusto, risultano solo noiosi e pesanti, ma se ne hai la possibilità dagli una cance perché ti intrippa e appassiona come poche cose.

Ti piacciono questi tipi di romanzi? Ne hai altri da consigliarmi?